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La storia e il restauro

 

Il coro

Il Coro di San Marco è stato realizzato per conto del Cardinal Quirini nell’ambito della ristrutturazione della chiesa diretta da Filippo Barigioni Romano in sostituzione di quello precedente, costruito sotto il patrocinio del Titolare Cardinale Agostino Valerio (Valier). Il Coro di fina noce è stato realizzato su disegno di Barigioni e fu inaugurato con l’Ufficio della Domenica delle Palme il 3 aprile 1735. Il pavimento della tribuna è di opera alessandrina d’intarsio a mosaico e si deve al Cardinale Marco Barbo.

Si tratta di un pregevole manufatto ligneo composto da 19 stalli superiori a parete e da 14 inferiori, per una lunghezza complessiva di circa 17,50 metri. L’altezza del manufatto è di circa 3 metri escluso il rialzo, cimasa, dello stallo centrale, mentre la profondità totale, è pari a 2 metri e 30 centimetri.

Il Coro presenta una impostazione decorativa che si ispira ai modelli rinascimentali, con eleganti schienali con raffinate modanature e lastronature in noce, piume e radiche. Gli stalli sono scansionati da paraste lisce, terminanti in alto con raffinati capitelli intagliati di gusto settecentesco. Il sedile poggia su una serie di eleganti reggi-panca che presentano un pregevole intaglio a voluta.

Al centro, il seggio vescovile si distingue per la cifra monumentale esaltata da braccioli intagliati con testa di cherubino. Sopra al seggio, nella cimasa, è collocato il prezioso medaglione di rame sbalzato e dorato, con l’effigie di Papa Paolo II, con stemmi. Questo prezioso elemento proveniva dalla precedente sistemazione del Coro risalente al XVII secolo e danneggiata durante un’inondazione del Tevere.

 

L’intervento

Una complessa opera di pulitura e bonifica è stata la fase preliminare del restauro. Oltre a rimuovere la polvere, i depositi di particellato e vernici applicate in tempi recenti, il Coro è stato sottoposto a una accurata disinfestazione dai tarli e altri insetti xilofagi.

A questa prima fase è seguita la ricostruzione di alcuni elementi mancanti con legno di noce come l’originale, e la loro successiva intonazione cromatica con mordenti acquosi. Un generale consolidamento ha permesso di riguadagnare la posizione originale di tutti gli elementi che compongono il Coro.

Dopo una leggera pulitura con solventi volatili, la fase finale dell’intervento si è concentrata su una equilibratura cromatica con vernici a base di gommalacca, removibile, applicata in più mani fino a ottenere lo stesso livello di saturazione della superficie circostante. L’applicazione finale, di una miscela di cera d’api e altre resine, è stata effettuata su tutta la superficie con una leggera stesura a pennello e successivamente “tirata” con stracci.

Cenni storici sulla Basilica di San Marco al Campidoglio

La Basilica di S. Marco è una delle più antiche chiese romane che sorse nel centro della città imperiale presso i Sæpta Iulia, i grandi portici costruiti per le votazioni e inaugurati nel 26 a.C. secondo la tradizione, nella stessa zona, alle pendici del Campidoglio, abitò presso una famiglia cristiana, l’evangelista Marco, venuto a Roma con San Pietro, e in quei luoghi avrebbe fondato un oratorio.

Successivamente papa Marco (337-340) trasformò l’originario oratorio in basilica, non appena cessarono le persecuzioni contro i cristiani, con il contributo dei doni avuti dall’imperatore Costantino. La primitiva basilica andò probabilmente distrutta nel V secolo a causa di un incendio, di cui rimangono tracce di materie carbonizzate nel sottosuolo, di alcuni metri inferiore al livello attuale. Nei secoli VI e VII la chiesa subì saccheggi e devastazioni durante le incursioni dei Goti, dei Longobardi e dei Bizantini. Trovandola in rovina, il papa Adriano I (772-795) se ne prese cura, ornandola di mosaici, pitture e arredi. Nel 791 la chiesa veniva inondata dalle acque del Tevere.

Nel secolo IX il papa Gregorio IV (827-844) restaurò la basilica e ne fece decorare l’arco trionfale e l’abside con i mosaici che ancora oggi vediamo, in cui è rappresentato lo stesso pontefice con il nimbo quadrato (in quanto vivente) mentre sostiene sulle mani il modello della chiesa da lui ricostruita. Le successive notizie storiche risalgono al secolo XII quando i marmorari romani costruirono il piccolo campanile romanico, ancora esistente (la campana è del 1288) e i maestri Giovanni, Pietro, Angelo e Sansone, lavorarono al ciborio, disfatto successivamente, ma di cui forse rimangono le colonne di porfido agli ingressi laterali del presbiterio e dieci colonnine attualmente nel portico.

Nel secolo XV la basilica venne radicalmente trasformata ad opera del cardinale Pietro Barbo, patrizio veneto, divenuto pontefice nel 1464 con il nome di Paolo II, che accanto alla chiesa aveva costruito il proprio palazzo, detto appunto di San Marco, e successivamente di Venezia, in quanto divenuto sede degli ambasciatori veneti in Roma, dopo la donazione fatta da Pio IV, nel 1564, alla Repubblica veneta.

All’iniziativa di Paolo II (1464-1471) si devono la splendida facciata a due ordini e, nell’interno, le grandi nicchie a conchiglia delle navate laterali, le bifore, il soffitto a cassettoni (eseguito nel 1471 da Giovanni e Marco de’ Dolci e decorato da Giuliano degli Amidi che si servì di 200 fogli d’oro e 300 d’argento). Il manufatto è, insieme a quello di Santa Maria Maggiore, l’unico soffitto a cassettoni del XV secolo ancora in opera a Roma.

Molto si è discusso sulla paternità artistica del portico e della sovrastante loggia a tre arcate (che ha molta analogia con la loggia delle benedizioni della basilica di S. Pietro in Vaticano, edificata al tempo di Pio II Piccolomini e distrutta all’inizio del secolo XVII da Carlo Maderno per realizzare la nuova facciata della chiesa) che, da autorevoli autori, è attribuita alla genialità di Leon Battista Alberti. Le arcate della loggia superiore vennero chiuse nel 1738, dall’ambasciatore Marco Foscarini, con finestroni, sostituiti da muri dall’ambasciatore Niccolò Erizzo, per recuperare spazio, e riaperte solo nel 1916 quando il palazzo di San Marco venne restituito allo Stato italiano.

Paolo II fece costruire la porta centrale della chiesa, sormontata da un rilievo raffigurante Marco Evangelista, attribuito allo scultore Isaia da Pisa. Suo nipote, cardinale Marco Barbo (dal 1464 titolare della basilica), s’interessò ai lavori di restauro: a lui si devono le due porte laterali e il ciborio ornato di sculture da Giovanni Dalmata e Mino da Fiesole, già nel presbiterio, trasportato nel Settecento in sacrestia dove si conserva, ma incompleto.

Nel 1474, durante il pontificato di Sisto IV, i corpi di San Marco e dei martiri Abdon e Sennen e altre reliquie furono traslati nella Basilica consacrata a San Marco Evangelista. Una delle opere pittoriche più notevoli dello stesso periodo è la tavola di Melozzo da Forlì raffigurante San Marco Papa, sull’altare della cappella del Sacramento.

Dopo le devastazioni subite dalla basilica durante il Sacco di Roma (1527) e alcuni lavori fatti eseguire dai cardinali veneti Domenico Grimani e Agostino Valzer, a metà del Seicento l’ambasciatore della Serenissima in Roma Nicolò Sagredo, trasformò l’interno della chiesa.

Al secolo XVII appartengono anche numerose opere di pittura e scultura, dislocate in varie cappelle e ambiti della chiesa, tra cui si ricordano quelle di Jacopo Palma il giovane (Gesù resuscitato), di Luigi Primo detto il Gentile (Vergine con il Bambino, S. Anna e S. Antonio da Padova), di Carlo Maratta (L’Adorazione dei Magi), di Bernadino Gagliardi (La Pietà), del Borgognone (cappella del Sacramento e abside della chiesa) e di Francesco Romanelli (S. Marco evangelista nell’abside). Dello stesso secolo sono i monumenti funebri di Cristoforo Vidman, opera di Cosimo Fancelli; del card. Basadonna, di Filippo Carcani e di Marcantonio Bragadin, di Lazzaro Morelli. I cancelli della basilica furono donati nel 1690 dal cardinale titolare Pietro Vito Ottoboni, veneziano, che divenne pontefice con il nome di Alessandro VIII.

La sistemazione attuale dell’interno della chiesa è dovuta al cardinale Angelo Maria Quirini che, alla metà del secolo XVIII, affidò all’architetto Filippo Barigioni i lavori di ristrutturazione. Quirini volle anche che si eseguissero gli stucchi raffiguranti episodi della vita degli apostoli, ai due lati della navata maggiore, intercalandoli agli affreschi eseguiti al tempo del Sagredo nel secolo precedente.

Dalla seconda metà del secolo XVIII non vennero più apportate modifiche alla basilica, che si arricchì invece della tomba di Leonardo Pesaro, figlio dell’ultimo ambasciatore veneto, opera del Canova (1796) e della cantoria, su disegni di Giuseppe Valadier. 

Nel secolo XIX una particolare attenzione si concentrò sui restauri, tanto che il Cardinal camerlengo Galeffi incaricò il pittore Manno di elencare le pitture della basilica che richiedevano un urgente intervento. Nella relazione Manno, del 1825, si segnalavano gli affreschi della tribuna dell’altare maggiore, per i quali si richiedeva la ripulitura: il dipinto centrale del Romanelli, raffigurante San Marco che scrive il Vangelo, e dei laterali del Borgognone dedicati al martirio del Santo.

Colophon

 

Francesco Prosperetti, soprintendente

Emanuela Settimi, storico dall’arte

 

Umana

Maria Raffaella Caprioglio, presidente

 

Geremia Russo, restauratore

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